Stalin e il comunismo by Andrea Graziosi

Stalin e il comunismo by Andrea Graziosi

autore:Andrea Graziosi [Graziosi, A.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Economica Laterza
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2010-06-12T16:00:00+00:00


Fig. 5. Stalin e Vorošilov, olio, 1938.

Stalin sapeva però di non potersi spingere troppo lontano in questa direzione, pena il malcontento delle altre nazionalità. E comunque l’uso strumentale del nazionalismo russo da parte del regime non era ancora sostanziato da eventi reali, che potessero renderlo credibile. Più in generale, esso non bastava a legittimare un regime e un potere personale che alla vigilia della guerra erano vissuti da gran parte della popolazione – circa il 70% della quale viveva ancora nelle campagne – come ostili e distanti. Certo, parte delle già ricordate nuove burocrazie, che dovevano la loro posizione alla modernizzazione socialista e ignoravano la realtà dell’Occidente, nonché giovani come Solženicyn, che allora sfilava inneggiando a Stalin, sentivano che il sistema sovietico era il loro sistema. Ma per la maggioranza esso era al tempo stesso impopolare e antipopolare.

La guerra mutò radicalmente questa situazione. Nel 1939-1941, grazie al patto Molotov-Ribbentrop, Stalin riuscì non solo a riconquistare i territori dell’impero zarista persi nel 1918, come il Baltico o la Bessarabia, ma anche ad aggiungervi nuove regioni come la Galizia. L’orgoglio nazionale russo ricevette così dal regime qualcosa di tangibile, e l’abilità di Stalin ebbe ampi riconoscimenti.

Questa abilità andava oltre quella percepita dai nazionalisti russi. Il patto Molotov-Ribbentrop ridisegnò i confini dell’Europa orientale seguendo una linea tracciata da Stalin, che godeva in quel momento di un forte vantaggio negoziale. Questa linea, dettata dall’idea di dividere quell’Europa in due sfere di brutale dominio imperiale, era tuttavia una linea intelligente, che fu poi confermata a Jalta e che ancora definisce i confini di quella parte del nostro continente. Stalin infatti la tracciò tenendo presente le questioni nazionali e seguendo in parte le indicazioni, poi inascoltate, fatte dagli esperti in materia alla conferenza di pace successiva alla prima guerra mondiale, sicché la sua linea coincideva in parte con quella suggerita a suo tempo da Lord Curzon e dalla diplomazia britannica. Inutile dire che, pur rispettando i confini nazionali, Stalin era intenzionato ad assicurare lo strapotere della sua Mosca. Ma egli fu sempre attento a dire che non stava prendendo territori per la Russia, anzi: assicurava piuttosto finalmente l’unità delle terre ucraine e di quelle bielorusse, dava ai lituani Vilnius, la loro capitale, ecc. Non a caso, nelle storie dell’Ucraina il giudizio su Stalin, durissimo – e a ragione – fino al 1939, cambia allora di colpo per la sua capacità di costruire la «grande» Ucraina sempre sognata dai nazionalisti, salvo poi ritornare in fretta al precedente a causa delle spietate repressioni da lui ordinate nel 1939-1941 per «sovietizzare» i territori appena annessi.

Queste repressioni furono di tale entità da rovesciare per sempre un’opinione locale che era stata tradizionalmente filorussa perché antitedesca o antipolacca. In pochi mesi un orientamento secolare fu ribaltato, e il Baltico e l’Ucraina occidentale divennero focolai di opposizione al regime sovietico, e tali sarebbero rimasti fino alla crisi terminale dell’Urss. Il loro simbolo è Katyn´, la foresta dove furono fucilati migliaia di ufficiali polacchi (fig. 6)15, approfondendo il solco



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